lunedì 5 marzo 2012

Una verde eredità


Quando ho comprato la casa dove vivo, 'il giardino' (parola molto grossa) era un'inestricabile selva di rovi, piante infestanti, edera e ortica. I mori centenari con i loro enormi e lunghi rami versavano in un visibile stato di abbandono; abbandono dovuto alla mancanza di forza di colui che per una vita si era preso cura di loro ma che ad un certo punto, esausto, si era arreso difronte all'energia esplosiva della natura. Ogni momento libero lo passavamo a disboscare, sradicare, decespugliare, a portare via carriolate di foglie, legna, sassi, mattoni, mattonelle, sbarre di ferro. E ogni cosa era un pezzo di storia della casa e di quello che un tempo era un giardino di campagna. Con amore catalogavo nella mente ogni tassello, per ricostruire la storia di quella che avevo scelto come casa. Tra l'erba cercavo le tracce di una mente che aveva piantato violette, margherite, rose canine e lillà. E come un cane da tartufo cercavo, frugavo tra i cespugli per trovare il bandolo della matassa, per capire il senso di tutto ciò che avevo intorno. Molti segni li ho decifrati col tempo, vivendoci e ripercorrendo quei passi che avevano girato per anni in lungo e in largo in quello che ora era il mio giardino! Non volevo assolutamente cancellare quella antica memoria, volevo conservare intatta quella verde eredità, enorme e preoccupante per le mie forze. Le esigenze di una vita più comoda e sana ci hanno portato a modificare l'assetto un po' selvaggio di quello spazio magico che mi aveva rapito in un piovoso giorno di dicembre, quando per la prima volta l'avevo visto. E adesso mi trovo qua a progettare il mio giardino, che spero non sia una pesante eredità, ma luogo felice, dove la memoria non sia d'ostacolo alla vita.